sabato 26 maggio 2018

Chiusura di un quotidiano

Il Giornale del Popolo ha tirato gli ultimi.


Don Alfredo Leber l’aveva aperto novantadue anni fa, in un Ticino ancora rurale, per dare una mano nostrana a“far muro” al comunismo; Valerio Lazzeri, vescovo attento alle regole dell’economia finanziarizzata, l’ha portato in Pretura giovedì scorso. Chiuso, fertig, stop.
Morto un papa se ne fa un altro? Speriamo di no; anche perché l’unico problema serio che lascia la vicenda non è certamente l’avvenire professionale dei colonnelli in redazione, semmai quello dei salariati semplici. Vedrete però che con appoggi, spintarelle, cinguettii e passaparola, questi non saranno certo costretti a fare spesa a Tavolino magico.
Rifuggo dal politicamente corretto e aggiungo che un quotidiano in meno non cambia di una virgola l’informazione(eufemismo!) complessiva proposta ai cittadini di questo Cantone, men che meno se essa viene (veniva) da sponde bagnate ancora con l’acqua santa.
E poi gli interessati hanno un’opzione di cui molti loro simili non possono avvalersi: Affidare ciò che resta del proprio futuro professionale alla divina provvidenza. Mi pare che  questo sia il momento opportuno per vedere se funziona!
O no?






La redazione e il frate "ricevi oboli"

martedì 22 maggio 2018

Documento: Fuga verso est


Sappiamo che nella Berlino divisa esistevano centri di accoglienza per i cittadini che fuggivano da Berlino Est verso l’Ovest. Ma sapevate che esistevano centri anche per chi scappava dall’Ovest per andare ad Est?

STORIE DI FUGHE VERSO LA REPUBBLICA DEMOCRATICA

Ebbene sì, non esistevano solo i centri di accettazione per le persone che da Est fuggivano per andare a Ovest, ma ce n’erano alcuni anche nella DDR per il flusso di persone che lasciavano la Repubblica Federale. Di questi centri non se ne parla mai per ovvi motivi, la storia è stata raccontata sempre e solo da un solo punto vista, quindi è tabù parlare di rifugiati dell’Ovest.
All’inizio degli anni ’50 la DDR costruì baracche speciali per le persone che volevano ritornare e per chi da Ovest voleva trasferirsi nell’Est, erano praticamente dei centri di accettazione. Qui la Volkspolizei (la polizia della DDR) e la Stasi controllavano l’identità delle persone. Si e’ calcolato che fra il 1949 e il 1989 siano state 600mila le persone che da Ovest si sono spostate ad Est, la maggior parte di queste a cavallo tra il 1950 e il 1960.

A BERLINO EST non per politica ma per la famiglia

Dopo la costruzione del Muro il numero dei richiedenti diminuì, ed anche i centri di accoglienza furono ridotti a tre e dal 1979 restò solo quello di Röntgental nella periferia berlinese. I rifugiati dell’Ovest, che facevano richiesta di residenza nella DDR, non lo facevano quasi mai per motivi politici bensì personali (ma lo stesso vale per i tanti che facevano il percorso inverso): chi aveva famiglia nella DDR, chi prima si era trasferito ad Ovest ma poi voleva tornare perché deluso, e c’erano anche persone che volevano vivere in un sistema socialista.
Le persone al loro arrivo nel centro di accettazione venivano registrate e poi suddivise a seconda della religionecultura ed orientamento politico e non potevano avere contatti fra loro. La permanenza nel centro poteva durare dalle 4 alle 6 settimane (a volte anche fino a 6 mesi). In questo periodo di attesa, non era permesso lasciare il campo, si poteva ricevere posta ma non inviarla, a volte si poteva telefonare. C’erano strutture che permettevano di potersi dedicare a diverse attività, ad esempio sport o cultura.
I rifugiati venivano trattati in modo differente, dipendeva dalla ragione per cui avevano deciso di trasferirsi nella DDR. Venivano tenute conferenze e mostrati filmati per preparare le persone alla nuova “patria”, visite mediche e naturalmente si potevano seguire programmi televisivi e radiofonici della DDR. Durante questo periodo di permanenza in attesa del permesso di soggiorno nella DDR, i richiedenti venivano sottoposti continuamente ad incontri (potremo dire “interrogatori”) con la polizia, mentre la Stasi si occupava dei rifugiati politici.
Se la richiesta di residenza nella DDR veniva accolta, il rifugiato poi doveva trasferirsi in un luogo assegnato dove poi avrebbe avuto una casa e un lavoro. Di solito chi sicuramente veniva rispedito indietro erano le persone che avevano avuto problemi con la giustizia ad Ovest, “asociali” o persone definite “pigre”! Secondo testimonianze le condizioni nel centro erano comunque buone e le persone venivano trattate correttamente nonostante l’estenuante attesa per l’eventuale permesso di residenza nella DDR.
Fra il 1984 e il 1989 furono registrate 3637 persone nel centro di Rögental, di queste 1386 erano cittadini della DDR che dopo essere stati nella BRD volevano ritornare, 1619 erano cittadini della BRD e 632 stranieri che provenivano da altri stati non socialisti. In tutto ne furono rispediti indietro 432. Il centro chiuse nel 1990 ed oggi gli edifici sono occupati da una casa di riposo.

LA TESTIMONIANZA DI GISELA KRAFT

Sulla storia dei rifugiati che scappavano dalla Germania dell’Ovest per andare in quella dell’Est è stato pubblicato un libro: “Einmal Freiheit und zurück – Die Geschichte der DDR-Rückkeher” di Ulrich Stoll (Ch. Links Verlag) da cui è tratto un documentario prodotto da ZDF-Arte dallo stesso titolo del libro.
Una delle testimonianze di chi liberamente decise di trasferirsi nella DDR è quella della scrittrice Gisela Kraft: “Nella DDR potevo essere per la prima volta una libera professionista. Potevo vivere da scrittrice e fare persino piccoli viaggi e andare a teatro. Ero coperta per tutto ciò di cui avevo bisogno: potevo dedicarmi produttivamente alla mia attività senza dovere pensare ogni giorno: potrò pagare l’affitto il mese prossimo?“.

venerdì 18 maggio 2018

Bruxelles, bounty killer in divisa

Per la polizia Mawda era uno "scudo umano".
Per i cittadini di buon senso solo una bambina di due/tre anni



https://secoursrouge.org/Bruxelles-Rassemblement-ce-soir-pour-Mawda-3-ans-assassinee-par-la-police

Il Venezuela vota


lunedì 14 maggio 2018

Come si "lavora" in politica


In politica si lavora così:

Facciamo una proposta, la mettiamo sul tavolo e vediamo.
Se la gente protesta la ritiriamo. Dopo un po’ la ripresentiamo fino a quando i cittadini, distratti da altri diversivi buttati là ad arte, permettono che tale proposta sia approvata anche se va contro i loro interessi.
Questo è quanto, per gli appellativi dati a tali manovre scegliete pure quelli che più vi piacciono, non ce ne frega niente.


 Sede del governo del Cantone Ticino, Bellinzona, Svizzera "felix"

sabato 12 maggio 2018

Mario Moretti: Documento / Testimonianza

Mario Moretti: Le BR sono uno specchio di tutti

https://youtu.be/c8GoxWysCvs



Nel 2004 Mario Moretti, figura di primo piano delle Brigate Rosse, è stato invitato a parlare agli studenti di un corso tenuto dal giornalista Enrico Fedocci. Successivamente gli studenti hanno scritto dei commenti sull’incontro che sono stati mostrati a Moretti. Di seguito la risposta che il detenuto in semilibertà Moretti ha inviato a Fedocci. La lettera è stata resa pubblicata sull'edizione del Dubbio di oggi

Ciao Enrico, grazie per avermi fatto leggere quello che i ragazzi del corso hanno scritto sull’incontro. Molto interessante. In un modo o nell’altro la vicenda delle Br è di quelle che fungono da specchio a chi le guarda. A volte uno specchio sociale, altre più semplicemente riflettono il modo individuale con cui ci si pone di fronte ai grandi eventi, alla riflessione sulla vita, la morte, i valori fondanti la propria esistenza. Si interroga me e la risposta che viene colta è soltanto quella più vicina al sentire consolidato di chi ha posto la domanda. Ti faccio un esempio, non è domanda e risposta ma il più innocuo degli argomenti e il più scivoloso per chi scrive, la descrizione del personaggio: qualcuno mi descrive come uno che «ha un sorriso aperto e l’aria di chi ne ha passate tante nella vita»,un altro «volto tirato, scavato dalle rughe… racconta senza tradire la minima emozione»,o al contrario «la voce si incrina, gli occhi si fanno lucidi e lo restano per buona parte della conversazione», per un altro «… con un sorriso piuttosto commosso, gli tremano le mani, suda visibilmente, deglutisce come avesse un nodo alla gola», ancora «ha l’aspetto del professore qualunque», «un uomo consunto», «abbigliamento semplice e atteggiamento cordiale e disponibile», e così via.
È chiaro che Moretti è un po’ tutte queste cose messe insieme, ma volevo sottolineare che, se guardando la medesima persona ognuno può “vedere” cose così contrastanti (e si ripeterà ancor più per ogni argomento della conversazione), Moretti è soltanto un pretesto, un accidente in una vicenda, quella delle Brigate rosse, che rimanda a qualcosa di inestricabile dal proprio essere sociale: se si parla delle Br chiunque ci mette di suo, sempre, non importa quanto egli sia lontano per età o per indole da quella vicenda. Peccato che se ne parli così poco e malamente.
Se ti capita ringrazia i tuoi allievi da parte mia, tutti, anche quelli che pensano come un carabiniere, parlano come un carabiniere e fortunatamente, non avendo l’equilibrio di un carabiniere, non sono armati come un carabiniere.
Se hai difficoltà con la duplicazione della registrazione filmata io posso esserti d’aiuto, sono un informatico non dimenticarlo.
Aspetto di sentirti e grazie di nuovo
Mario Moretti

giovedì 3 maggio 2018

Solidarietà con Nadia Lioce.

AGGIORNAMENTO SULLA PETIZIONE

4 maggio: Presidi a L'Aquila e in altre città, in solidarietà con Nadia Lioce, contro il 41 bis

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
Italia
3 MAG 2018 — In solidarietà con Nadia Lioce, contro la tortura del 41 bis e la criminalizzazione di chi lo combatte, domani, 4 maggio, in occasione della nuova udienza per la protesta di Nadia si terranno presidi davanti ai tribunali di L'Aquila, Taranto, Palermo, Ravenna e altre città. A Bergamo ci sarà un presidio nella zona più popolare ed affollata della città, presso il piazzale della stazione:

https://paginecontrolatortura.noblogs.org/categoria/appuntamenti/
http://femminismorivoluzionario.blogspot.it/2018/05/venerdi-4-maggio-presidi-laquila-e-in.html

Sono passati 13 anni da quando Nadia è rinchiusa all’interno delle sezioni di 41bis, che lo scorso settembre le è stato prorogato, ancora una volta, per altri 2 anni.

Nadia Lioce per la sua protesta, rischia l'applicazione anche dell'articolo 14 bis, con ulteriore peggioramento delle sue condizioni detentive. Ma Nadia Lioce, con la sua protesta, ha messo a nudo il "re", mostrando a tutti l'orrore del 41 bis.

Sepolta viva, neanche la lettera di "Panorama" le hanno consegnato, "perché le condizioni detentive dei soggetti in 41 bis possono essere valutate tramite atti ufficiali". E gli "atti ufficiali" sono quelli del Governo, dello Stato, sono quelli che parlano di epilessia o aneurisma o di autolesionismo quando una persona detenuta muore nelle loro mani. Sono quelli che condannano alla morte civile oltre 700 detenuti e detenute in Italia. Sono gli atti, anzi, i misfatti, di una giustizia borghese che rinchiude decine di migliaia di poveri nelle proprie galere, che usa il carcere come discarica sociale e il 41 bis come l'elemento di deterrenza più alto nei confronti delle lotte sociali. La lotta di Nadia, perciò, è una lotta che riguarda tutti e tutte, perché ci mostra l'essenza stessa del 41 bis, che è una minaccia per tutti quelli che ancora si battono per un mondo migliore, per una società giusta, per una nuova, reale democrazia.

31 persone sono state condannate per aver denunciato tutto questo, durante i presidi che si sono svolti a L'Aquila il 24 novembre scorso. Noi risponderemo a questa ingiusta repressione non solo a L'Aquila, ma anche in altre città, perché il 41 bis è tortura, perché la solidarietà non è un crimine, perché lottare per un mondo migliore è giusto e necessario


In allegato l'articolo di Panorama e a questo link ( https://femminismoproletariorivoluzionario.files.wordpress.com/2018/05/opuscolo-mensa-ok.pdf ), un opuscolo sull'importante assemblea che si è tenuta a Napoli il 19 aprile

martedì 1 maggio 2018

Il movimento keniano dei Mau-Mau

All'interno della Kikuyu Central Association, fondata intorno al 1920 da Jomo Kenyatta e da altri patrioti di colore, nel 1944 i capi politici della Provincia Centrale cominciarono a organizzare il movimento clandestino dei Mau-Mau, che divenne poi il braccio armato della Kenya Africa Union, struttura legale creata, sempre sotto la guida di Kenyatta, per realizzare un fronte unitario anticoloniale fra le diverse etnie del Paese.
Anche se male armati i Mau-Mau seppero dare del filo da torcere alle truppe britanniche per molto tempo, impiegando la tattica della guerriglia nelle boscaglie dell'interno (nella Provincia centrale e nella Rift Valley) e del terrorismo nelle grandi città come Nairobi. Nella lotta, i rivoltosi si abbandonarono però anche a massacri e a violenze sui bianchi - incluse donne e bambini - che vivevano in fattorie isolate.
Il movimento Mau-Mau venne represso dalle forze britanniche che operarono molto duramente, creando perfino campi di concentramento di kikuyu per controllare meglio i ribelli.
Anche se sconfitto sul piano militare, il movimento Mau-Mau restò una delle maggiori esperienze politiche della nuova Africa e particolarmente del Kenya indipendentista.